I suoi occhi si spalancano vivi, quasi spiritati: un amico sta raccontando di un cocktail al frutto della passione bevuto recentemente, e “Lui” ne ha già creata una re-interpretazione.
I suoi occhi si socchiudono gentili nell’osservare la gente che lo riconosce, ma non trova la battuta giusta per presentarsi. E quegli stessi occhi si spalancano nuovamente fissando un futuro, che “Lui” Ferran Adrià, regala a un pubblico eletto di giornalisti e colleghi – forse non più di una trentina- a una speciale cena torinese lo scorso ottobre.
Basta il calore e la stima della famiglia Lavazza, la cornice della loro nuova sede – il Palazzo Innovation- per scoprire che lo chef spagnolo non si è eclissato dietro nessun altro sole, bensì sta guardando verso orizzonti imprevisti e interessanti.
Il tempo per pensare, il mondo per viaggiare, la gioventù per sperimentare e un cassetto di idee che stanno disegnando un nuovo progetto che parte da El Bulli per tornarvi nel giro di due anni. Sarà El Bulli XXXX.
Ad Adrià non bastano né le miriadi di prodotti che la globalizzazione mette a disposizione, né aver deciso di non utilizzare più un menu nel suo ristorante, scardinando così la liturgia della ristorazione. Non danno più soddisfazione neanche le migliaia di fan, stuzzicati nel gusto durante i suoi vent’anni e più di carriera.
Le tecniche, i video, la tecnologia e la figura dello chef “star” dei congressi non sanno più offrire a Ferran uno sguardo di meraviglia e acuta intelligenza. A eccezione però di una sola cosa che sembra risvegliarlo: una sfida forse con se stesso e i suoi limiti, forse con i territori ancora incontaminati della cucina d’avanguardia.
Raccontare ciò che lo chef riesce a vedere oltre le nostre teste è un compito difficile per Adrià stesso. Ha provato in più occasioni, cercando di essere compreso dal mondo della ristorazione e dei media. Tuttavia le leggende metropolitane, le invidie e il tirar a indovinare hanno preso il sopravvento. Nonostante si fosse ripromesso di mantenere il silenzio sul suo biennio sabbatico, Ferran ha deciso di aprire uno spiraglio sul suo riserbo e ha scelto la cena informale dai Lavazza in occasione del Salone del Gusto 2010 per svelare parte del suo “work-in-progress”.
Una flûte di champagne, un parmigiano invecchiato nove anni e un piatto di ravioli del plin con tartufo bianco e Adrià ricorda che per lui “far da mangiare” significa sperimentare, lavorare in laboratorio, esattamente come aveva iniziato a fare con Alicia. Questa fondazione, ora trasferitasi a Harvard, si è trasformata in un corso di sei mesi che formerà chef e scienziati. Culture diverse si trovano davanti ai fornelli in un connubio tra cibo e scienza, che non è più considerato profano. È proprio da questa esperienza che entro pochi anni partirà una nuova fondazione, un centro creativo che accoglierà trenta talenti da tutto il mondo. Sì perché come uno chef cerca il miglior prodotto e ne interpreta le sue qualità, così la cucina ora chiede di conoscere ed esaltare i migliori autori.
Adrià offre così una tela, i suoi colori e stimola i futuri artisti a sperimentare, a inseguire un concetto di gusto che faccia tesoro della sua esperienza pregressa.
Ferran sgrana di nuovo gli occhi, nel concludere il suo discorso e pronto per tuffarsi di nuovo nella cena. Immagina il suo El Bulli XXXX popolato di talenti e ingredienti, idee ed esperimenti, futuro e stupore.
Claudia Orlandi