«È dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi […] ma lagrime ancora e tripudi suoi…» (Giovanni Pascoli, Il Fanciullino)
La nebbia ghiacciata, fiocchi perfetti di neve, un vento rigido o il mare in burrasca… e il 24 dicembre è già qui. Le cucine brulicano di massaie e parenti, o di chef e assistenti, mentre sorrisi e tensioni trovano libero sfogo. E l’attesa, ospite fissa anche quando non ufficialmente invitata, si fa avanti, incalza, pretende il posto che da sempre le appartiene.
Il menu di magro prepara il terreno e il palato al pranzo ufficiale del giorno di Natale. Leccornie figlie della tradizione, della memoria o della globalizzazione imbandiscono le tavole, e rendono omaggio ad antichi sapori o a nuove terre lontane.
Ravioli e lasagne, kumquat e litchi, marron glaces e anatre all’arancia, panettoni e pandori farciti, torroni e panforti… il 25 fa la sua entrata in scena, mentre gli occhi scintillanti di bambini, più o meno cresciuti, si affacciano sulla sala da pranzo.
Le luci degli alberi addobbati, il luccichio della carta da regalo e qualche torroncino già agguantato: è il Santo Natale, del quale ogni anno ci sentiamo attori. Chi protagonista, chi comparsa – forse suo malgrado - ci riscopriamo sempre fanciulli davanti a tovaglioli rossi e stelle di zucchero.
E poi rimangono i ricordi: i glitter spruzzati su presepi e, ahimè, sui pavimenti; i fogli di carta da regalo precocemente invecchiati e diventati passato, insieme ai rispettivi nastrini e fiocchi luccicanti; le scatole di prodotti gourmet e la vaga sensazione che l’infanzia, alla fine, regali a questi giorni di festa molte più emozioni.
Ora zamponi, lenticchie, praline raffinate e foie gras cremosi; un tempo canditi, bon bon e omini di zenzero. Ora la caccia all’etichetta in edizione limitata, all’aceto balsamico di lungo invecchiamento o al Parmigiano Vacche Rosse di incredibile stagionatura; un tempo, il profumo di cioccolata in tazza, di buccia di mandarino ad abbrustolire sulla stufa, lo sgranocchiare di mandorle caramellate, e quel dolce indugiare su dita ancora imbrattate di zucchero a velo.
Ora un adulto, un tempo un fanciullo… e poi rimangono ricordi di buone e gustose intenzioni protratte fino a Santo Stefano, per essere sacrificate sull’altare della “linea perfetta a tutti i costi”.
Eppure gli occhi di quel bimbo, colmi di meraviglia, rimangono come assopiti e pronti a tornare al loro vivace splendore. Il fanciullino maturo dialoga con i bambini di oggi, lasciando che siano loro a indicargli un nuovo “parco giochi” in quel 6 gennaio e in una vecchina raggrinzita su una scopa di saggina, che per tradizione “tutte le feste porta via”.
Una calza vecchia sotto l’albero, rattoppata a tarda notte, le mani ricolme di dolciumi che accompagnano le poesie animate di Walt Disney.
E infine, altri ricordi: le luminarie che abbandonano le strade delle città, il profumo di cannella, chiodi di garofano, agrumi e burro che saluta noi fanciullini mentre dà un fragrante arrivederci al prossimo anno.
Rimangono tra i nostri i pensieri, le sensazioni, le immagini. E forse, per una volta, potremmo dar loro un posto qui accanto, affinché quei bambini che fummo ancora oggi siano tentati da un vasetto di marmellata, o da un’arancia candita.
«… Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciullini che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo» (Giovanni Pascoli, Il Fanciullino)
Claudia Orlandi